Biografia

15-10-08

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il Paese del Muto
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           Pietro Ivaldi,  abile pittore sordomuto, così come viene definito da Don Bosco nella storia del Santuario della Madonna della Pieve, è nato a Toleto di Ponzone (AL), nella borgata di Piangamba, nel 1810. In quegli anni Toleto, secondo quanto riportato dal Casalis, autore del pregevole dizionario geografico-storico-statistico-commerciale degli stati sabaudi, si presenta come un paese povero, prevalentemente contadino, composto da poche famiglie, gran parte delle quali residenti intorno alla chiesa, con una popolazione che, includendo la località Abasse, racchiude circa 120-140 anime. Da qui un giovanissimo e già dotato Pietro, è partito alla volta di Acqui Terme, per poi dirigersi con la famiglia ad Asti.

           La sua attività artistica ha inizio con un alunnato presso l’Accademia Albertina di Torino la cui direzione era allora affidata a Giovanni Battista Biscarra, ove sicuramente entra in contatto con i paesaggisti De Gubernatis, Paroletti, D’Azeglio, Righini e Reviglio, da cui saprà mediare quella particolare disposizione alla pittura di paesaggio che lo caratterizzerà per l’intera esistenza.

Altri suoi punti di riferimento questa volta slegati dall’ambiente accademico, sono da individuare nelle opere eseguite nell’astigiano da Lorenzo Peretti a cui l’Ivaldi si riferisce nelle composizioni sacre di maggiore complessità, mai dimentico di quella tradizione pittorica italiana d’eccellenza su cui egli stesso aveva studiato durante i numerosi viaggi a Roma, Venezia e Firenze in compagnia del fratello Tommaso (Toleto di Ponzone 1818 -  Acqui Terme 1897). La vita di Pietro corre infatti parallela con quella del fratello, valente stuccatore, che, oltre ad aiutarlo nella realizzazione delle opere artistiche, quasi sempre lo affianca o addirittura lo sostituisce nella stipulazione di contratti, atti di commissione o ricevute di pagamento.

La vasta produzione del Muto, soprattutto affreschi, inizia a partire dagli Anni Trenta, e si protrae sino al 1885, anno della sua morte, avvenuta ad Acqui Terme, interessando molte chiese di varie località: Acqui Terme, Montaldo Bormida, Ovada, Molare, Trisobbio, Ponzone, Rossiglione, Ciglione e tante altre, senza dimenticare la sua attività nell’astigiano, nel vercellese, nel casalese ed anche in Liguria (Sassello, Celle Ligure) e in Lombardia.

La pittura del Muto, che affronta quasi sempre soggetti sacri, si connota con stesure piatte di colore, contorni netti ed una certa rigidezza compositiva, lontana dal brio delle pennellate vivaci e sottili di gusto barocco e Rococò dell’epoca. Pietro Ivaldi è tuttavia straordinario nel manifestare con varietà le diverse espressioni e i momenti legati a vicende e atmosfere particolari, consapevole della destinazione e del messaggio contenuto nelle opere. Eventi che riaccadono davanti agli occhi di tutti, dai fedeli più vicini a quelli più distanti. Colori luminosi accendono le sue scene, ambientate talvolta in paesaggi riconoscibili, come in un affresco della Parrocchiale di Visone, o nella Resurrezione del figlio della vedova di Naim della Parrocchiale di Molare, dove è individuabile il locale castello, o nella Madonna degli Angeli, della Chiesa di santa Caterina di Rossiglione Superiore con il  fiume e il vecchio ponte.

La sua pittura si sposa perfettamente con l’ambiente socioculturale per cui è stata prodotta, in obbedienza alle esigenze di una committenza religiosa la cui prima missione era quella educativa. La sua arte diventa per le popolazioni delle campagne sopra indicate, sussidio visivo necessario per la catechesi che viene offerta attraverso la suggestione di un colore puro e la semplificazione delle forme costruite nel rigore di un segno disegnativo di chiara ascendenza accademica. Tuttavia l’accademismo del Muto si mescola ad una esigenza comunicativa diretta che si esprime attraverso una gestualità insistita impossibile da eludere in un rapporto anche superficiale con la sua pittura.

Questa gestualità che è la caratteristica stilistica dominante della sua arte, è da connettere direttamente alla sua infermità (Pietro viene infatti soprannominato “il Muto” in quanto sordomuto, dalla nascita, o comunque fin da bambino, come alcuni sostengono, in seguito ad uno spavento) e alla pratica del linguaggio dei gesti, linguaggio che in quegli anni veniva codificato da Padre Assarotti e che proprio ad Acqui Terme avrebbe avuto un buon diffusore in Don Francesco Bracco attivo in città a partire dalla fine del III decennio del secolo. La corrispondenza fra i gesti dei personaggi del Muto e la gestualità codificata nel linguaggio dei segni, emerge chiara al confronto di quelli con questa, ad indicare una precisa volontà da parte dell’artista di istituire un doppio livello comunicativo con la sua utenza. Questa dimensione gestuale dominante allude anche a quella dimensione di fede ingenua e intensa che si coniuga ad una devozione profonda tipica di chi vede nel rapporto con la divinità una via d’uscita per sopportare condizioni di vita difficili: le condizioni di vita delle campagne italiane di due secoli fa. 

 

       a cura del Centro Studi Pietro Ivaldi

 

 

 

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Ultimo aggiornamento: 08-03-06